«Ce l’hai al dito…»
«Ma no, non la fede. L’anello che avevo al mignolo, quello fine d’argento…»
«Avevi un anello al mignolo?»
«Ma certo… che fai, mi prendi in giro?»
«Ti giuro che non te l’ho mai visto… ma sei sicuro?»
«Certo che sono sicuro…»
Quinto Bertocchi se ne esce di casa alle otto meno un quarto, in leggero ritardo e con un evidente malumore. Si guarda il dito mignolo mentre poggia le mani sul volante, e prova a ricordare dove potrebbe essere andato a finire il suo anello. Nonostante il traffico, la radio, il mal tempo e gli appuntamenti di lavoro, non riesce a pensare ad altro. Appena entra in ufficio convoca la sua segretaria.
«Teresa, hai per caso visto il mio anello?»
«La fede nuziale?»
«No, quella ce l’ho. Sto parlando del piccolo cerchio d’argento che avevo al mignolo, si ricorda?»
La segretaria prende tempo per far finta di ricordare e poi scuote la testa.
«No, sinceramente…»
«Ma come no…» la interrompe l’ingegner Bertocchi, leggermente infastidito.
«…aspetti, ora che ci penso, mi sembra di ricordare qualcosa. Però non l’ho visto» mente lei.
«Ecco, lo sapevo! Mia moglie voleva farmi passare per scemo.»
«Mi scusi?»
«No, niente… »
«Ha provato a vedere nel bagno? Magari se lo è tolto ieri per lavarsi le mani e poi lo ha dimenticato sul lavandino.»
«Si, ottima idea. Andrò subito a vedere.»
Teresa se ne torna alla sua scrivania, felice di lasciare il capo alle sue beghe. Lui perlustra da cima a fondo ufficio e bagno ma non trova nulla. Si prova a mettere a lavorare, ma non riesce a concentrarsi. Attende rovellandosi l’ora di pranzo.
«Giorgio, ti ricordi dell’anello che avevo al dito?»
Al tavolino del bar sotto gli uffici siedono Matteo Franceschini, Giorgio Pirani e il nostro Quinto Bertocchi. Insalatina, capaccio di bresaola, prosciutto e melone e tre bicchieri di vino bianco, leggero perché dopo si torna a lavorare.
«Un anello?»
«Esattamente! Qui al mignolo, avevo un anello d’argento, come una piccola fede.»
«Ma sai, io sono un po’ distratto con queste cose. Ricordo a malapena quello che ho mangiato a colazione.»
«E tu, Franceschini?»
«Cosa?»
«Mi hai mai visto un anello a questo dito?»
Lui alza la testa dal carpaccio, ci pensa un po’, o come la Teresa fa finta di pensarci, e poi risponde di no.
«Questa storia è davvero strana, sapete? È come se questo anello me lo fossi inventato. Nessuno lo ricorda, ma sono sicurissimo di averlo avuto al dito, almeno fino a ieri sera.»
«Beh, se sei sicuro allora ce lo avevi.» risponde l’ingegner Pirani.
«La gente è distratta, sai com’é…» aggiunge l’avvocato Franceschini.
«Si, ma neanche mia moglie se lo ricorda…»
«Sabato scorso sono passato dall’edicola e ho comprato una rivista di fotografia» racconta Giorgio, «e mia moglie è rimasta sorpresa. Si era completamente dimenticata che è dai tempi del liceo che sono un fotoamatore. È un mondo troppo veloce, nessuno riesce più a stare dietro a tutto… Non preoccuparti Quinto…»
Ma le parole di conforto dell’ingegner Pirani non riescono a tranquillizzarlo. Alle tre e mezzo decide di tornarsene a casa, che tanto di lavorare non se ne parla nemmeno.
L’ingegner Bertocchi è un tipo preciso. Non perde mai nulla perché ogni cosa ha un suo posto, sia nel mondo materiale che nella sua testa. Per questo motivo la faccenda dell’anello lo turba. È tentato di mettere a soqquadro la casa, ma invece si limita a cercare senza smuovere gli oggetti. Si sforza di ricordare, un’immagine, un’occasione, un rituale della sua vita super programmata. Niente.
Sua moglie torna alle sei e quaranta. Lui ha preparato un risotto che mangiano insieme guardando il telegiornale. Vorrebbe chiederle nuovamente dell’anello ma teme un’altra smentita. Siedono in silenzio, si fumano un paio di sigarette, poi lei lascia il tavolo con la scusa di dover finire del lavoro per il giorno dopo. Sparisce nello studio mentre alla TV passano lo sport.
Quinto si alza, spenge l’apparecchio e si mette il cappotto.
«Esco a comprare le sigarette. Ti serve niente?» domanda alla moglie attraverso la porta chiusa dello studio. Lei risponde di no e un secondo più tardi lui è già fuori.
Gira a vuoto per le strade del centro, nel silenzio ristoratore dell’abitacolo della sua auto. Si chiede se non stia per impazzire. Succede a volte, come a quel vecchio collega che si era imbottito di pasticche. Quand’è che era successo? Un mese prima? Lo ricorda bene quel collega, Marzio Frignani, quarantotto anni, due figli. Quella mattina presero il caffè insieme, lo ricorda benissimo, e mentre alzava la tazzina c’era il suo anello, certo, come poteva dimenticarlo. No, non era pazzo…
Accosta l’auto, slaccia la cintura e incomincia a perquisirla da cima a fondo. Dietro i sedili, sotto i tappetini, dentro gli scomparti laterali. Si aiuta con una torcia elettrica che estrae da dentro al cruscotto. Passano i minuti, fuori piove ma deve tenere gli sportelli aperti se vuole fare un buon lavoro. Quando finalmente si convince che dell’anello non vi è traccia, ha i pantaloni completamente bagnati. Sprofonda sul sedile, tira un sospiro, si accende una sigaretta e guarda fuori attraverso lo sportello spalancato. Un uomo lo osserva dall’altra parte della strada.
«Che c’è?» gli urla. È infastidito, quasi rabbioso, ammazzerebbe una persona solo per darsi un contegno.
L’uomo ha un ombrello e un soprabito grigio. Fuori è troppo buio per distinguere i suoi lineamenti.
«Ha bisogno di una mano?» domanda gentilmente.
«Ho perso il mio anello…»
«Mi dispiace.»
Quella risposta lo scuote. Per la prima volta in tutta la giornata qualcuno lo aveva fatto sentire meglio.
«Gentile da parte sua. Ma vede, il problema è che non sono più sicuro che ce lo avessi…»
«Non ricorda di avere avuto quell’anello?»
«No, io lo ricordo benissimo. Sono gli altri che non se lo ricordano. Persino mia moglie, si figuri…»
«Così lei pensa di essere sul punto d’impazzire…»
«Si…»
La città è deserta, i lampioni si riflettono sull’asfalto bagnato, la pioggia continua a battere.
«Lei non sta cercando l’anello. Lei sta solo cercando di convincersi che non è mai esistito, ma per quanto si sforzi non riesce a dimenticarlo.»
«E se non fosse davvero mai esistito?»
«Beh, adesso esiste, non le pare? E per quanto lo voglia cancellare dalla sua testa, quell’anello esisterà sempre. Quindi, le do un consiglio; accetti semplicemente il fatto che lo ha perso, e non ci pensi più. Domani passi in gioielleria e ne compri uno nuovo, uguale a quello che crede di aver perduto. Poi lo mostri a sua moglie e suoi conoscenti e dica loro che lo ha ritrovato. Vedrà che non faranno una piega, e penseranno semplicemente di non averlo mai notato.»
Quinto Bertocchi alza la testa verso l’uomo con l’ombrello, immobile sull’altro lato della strada.
«Che significa tutto ciò?»
«Che nella vita a volte si rincorre e altre volte si è rincorsi, e non possiamo permetterci di rimanere ad aspettare chi è rimasto indietro» risponde misteriosamente lo sconosciuto, prima di rimettersi in cammino sulla strada buia.
Il giorno dopo l’ingegner Bertocchi seguì il consiglio dell’uomo con l’ombrello ed accadde esattamente quello che aveva previsto. Tutti quanti si convinsero di non aver mai notato l’anello ma nessuno se ne preoccupò.
Per Quinto Bertocchi quello fu anche il primo giorno della sua nuova vita. Nei mesi successivi lasciò il lavoro, la moglie e la città, e prese un treno che andava verso nord. Dal finestrino gettò via l’anello, e si augurò che qualcuno lo trovasse, e potesse iniziare a vedere le cose come adesso le vedeva lui.
Perché tutto esiste nel momento in cui lo si pensa.
GM Willo 2009
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