martedì 27 ottobre 2009

YOAK

yoak

Le notti si facevano più fredde, e ciò era un bene e un male per Yoak. La sua vita sarebbe stata più dura, ma anche più breve. In ogni caso alla fine tutto sarebbe andato per il meglio, ne era sicuro.
Il cielo prometteva pioggia, ma non per questo i bar sarebbero rimasti chiusi. Lui se ne stava tranquillo a fumarsi la sua prima sigaretta della giornata, disteso sul divano del suo ultimo amico, troppo demotivato per spingersi fino alla cucina per il caffè. Il suo unico impegno consisteva nel cullare i suoi prospetti alcolici quotidiani e progettare la fine degli ultimi legami che lo tenevano unito al mondo. Niente di più facile, se non avevi più nulla da perdere ….
…e Yoak non possedeva più niente.
Afferrò distrattamente il giornale sul pavimento, ma non ci pensò neanche a leggerlo. Eppure riusciva a percepire distrattamente gli articoli in grassetto, notizie che lo facevano sbellicare e sentire ancora più forte e convinto. La sua fine era vicina.
Dopo un tempo indeterminabile raggiunse la doccia, lasciando il caos dietro di se e sapendo di provocare l’ira del suo ultimo ormai non più amico. Poi uscì di casa.
Era libero, questo lo sapeva, ma sentirlo ogni nuovo giorno nelle narici che si aprivano al vento era sempre qualcosa di diverso. Aveva bisogno di autocontrollo per non sbandare; delineava la sua meta prima di incamminarsi.
Yoak aveva deciso di andarsene e nessuno cercava più dì fermarlo. Egli aveva fatto parte di un meccanismo perfetto che gli altri chiamavano vita, e per un po’ si era
convinto che tutto procedeva come doveva procedere. Poi un giorno alzandosi si era visto
capovolto, con i piedi poggiati al soffitto e la bocca che parlava una bizzarra lingua
contraria con frasi tipo “atset id lam ehc ioh”, e il tempo che scorreva o troppo veloce o troppo lentamente. Forse aveva visto finalmente come stavano le cose, o forse aveva dei grossi problemi…..
…comunque aveva deciso dì finirla
Non era servito neanche chiedere aiuto agli amici. Quest’ultimi battevano strade diverse in quel periodo; non potevano capire.
Fuori dal mondo e prigioniero di questo, ecco il nostro eroe, Yoak.
Quel giorno lasciò la casa del suo migliore amico per bersi l’intero pomeriggio e la sera che ne seguì. Nessuna parola fece deviare il suo corso.
Il suo palato accettava solo un alfabeto, la sua ragione era stimolata solo dalle poche cose in cui credeva.
Yoak non era mai stato parte di questo mondo e non lo sarebbe mai stato.
Alla fine ci regalò a tutti un tenero “addio”.

GM Willo - Ottobre 2000

lunedì 19 ottobre 2009

IL CUORE DELLA LUCERTOLA

«Ciao, come stai?»
E come cazzo dovrei stare, mi andrebbe di dirle. Invece rispondo “bene”, e sorrido pure. Non mi va di darle vantaggi. Ai suoi occhi voglio apparire forte, anche se dentro sono a pezzi, come se il cuore me l’avessero gettato nel tritacarne. Stronza! Sei anni insieme, e una mattina si sveglia e mi dice “non ti amo più!” Ma che cazzo vuol dire?!
«Ci sei domani? Se non disturbo verrei a prendere le ultime cose…»
Certo che disturbi. Disturbi ogni singolo minuto della mia giornata, perché non riesco a non pensare a te. Non dormo, non mangio, non posso neanche ad andare a lavoro senza che l’immagine del tuo volto venga ad ossessionarmi. Sei un virus, ecco cosa sei!
«No, ci mancherebbe. Vieni pure.»
Magari parliamo un po’, mi verrebbe da aggiungere. Ma abbiamo anche parlato troppo. E quando si parla troppo, non c’è più niente da dire. Ci sono i ricordi, che a me sembrano bellissimi e a lei non fanno il minimo effetto. Ci sono i rancori, e quelli lei li ricorda benissimo, mentre io me li sono già dimenticati. E poi ci sono i momenti d’indifferenza, e quelli sono la vera ragione per la quale lei verrà a prendersi le sue dannate ultime cose.
«Come va a lavoro?»
Ma che cazzo te ne frega! Non ti è mai interessato quello che faccio. Eh certo, perché prima t’interessavo io, adesso invece t’interessa solo rimanere amica, riprenderti le tue cose e non fare più scenate. Vuoi la dissolvenza, la chiusura col sorriso, il finale di Hollywood, i titoli di coda con i ringraziamenti, così poi ti potrai buttare a capofitto nel tuo prossimo film, senza sensi di colpa…
«Bene. Marzo è stato un buon mese…»
«Sono contenta. E poi distrarsi fa bene, non trovi?»
Questa te la potevi risparmiare, stronza! Chi vedi adesso? Ci dev’essere qualcuno, lo so. C’è sempre qualcuno, quando si cambia in questa maniera. Un po’ stronza lo sei sempre stata, ma mai così. Chi è? Un collega? Uno che hai incontrato in palestra? Uno che t’inforca dopo lo spinning?
«Si. Cerco di non pensarci, sai com’é…»
Patetico. No, non fare il patetico adesso. Ce l’hai quasi fatta. Tra poco arriva il bus, la saluti e te ne vai. Non tornare sull’argomento, altrimenti sei fregato…
«Vedi qualcuno?»
Ma perché non te ne stai un po’ zitta, troia! Si, vedo te, tutti i giorni, nella mia testa, ti guardo chiudendo gli occhi, vedo i tuoi capelli sparsi sul cuscino, le tue labbra che mi accarezzano, la tua lingua che gioca. Vedo sempre e solo te, capito… stronza!
«No, solo i miei amici, ogni tanto. Domenica andiamo a pescare.»
«Dove?»
«In montagna…»
«Bello…»
Ma che fine hai fatto autobus di merda! Sei in ritardo di sette minuti. Vuoi vedere che la corsa è saltata. Se è così mi tocca a farmi torturare per un altro quarto d’ora.
«Sai, io vedo qualcuno… Volevo dirtelo, perché mi piace essere sincera.»
Che sorpresa! Ma davvero?
«Sai che ci tengo alla nostra amicizia…»
«E se ti spingessi sotto l’autobus, che ne diresti?»
Troppo tardi. La frase mi esce senza pensarci. Perché sapete, a volte la linea che divide l’immaginazione con la realtà è talmente sottile…
Lei strabuzza gli occhi, rimane in silenzio, forse ha anche un po’ di paura. In quell’istante la vedo sotto una nuova luce, vulnerabile e stronza. Qualcosa ricomincia a battere dentro il petto. Il cuore è un muscolo strano. È come la coda delle lucertole. Lo puoi buttare nel tritacarne, ma quello ricresce, e torna a pulsare, più forte di prima.
«Guarda, quello è il tuo autobus. Ti aspetto domani per la roba. Ciao…»
Lei risponde con un timido ciao, sale sull’autobus e si dilegua.
La verità, specialmente la più crudele, può fare miracoli!

GM Willo 2009

mercoledì 14 ottobre 2009

L'ISOLA DEI RICORDI


Nel mare si perdono i ricordi. Quelli più belli vengono subito trascinati al largo dalle correnti. Poi si depositano sui fondali, a fare compagnia alle razze e ai cavallucci marini.
Un dio mi disse che se avessi saputo trovare il posto giusto, avrei potuto ripescarli. Tutto quello di cui avevo bisogno era una canna da pesca ed una buona esca.
Così m’imbarcai sul peschereccio di capitano Arsella, un tipo davvero strano. La sua ciurma era la più ubriaca del porto. Prima di prendere il mare i marinai facevano un triplo giro di Grog, e alla fine di ogni turno spettava a tutti una razione extra. Per questo motivo il peschereccio di capitano Arsella era quello che si spingeva più a largo, ed io volevo proprio andare il più lontano possibile, laggiù dove dimorano i ricordi più belli.
Ma a quel vecchio burlone che siede sul bagnasciuga dell’universo, non manca certo il senso del buonumore. Gli venne in mente di mandarci addosso una tempesta coi controfiocchi.
L’equilibrio precario della ciurma, dovuto allo smodato uso di alcolici, compensava il movimento delle onde. Perciò procedevamo dritti come fusi, mentre le alte onde ci sovrastavano.
Nonostante il nostro bell’andare, il timoniere non poté evitare l’iceberg. Non riuscì neanche a capire se fosse solamente uno. Infatti in principio urlò che erano due, e poi ne vide addirittura tre. Ma vi posso assicurare che fu solo uno l’iceberg che ci colpì.
L’impatto distrusse completamente il peschereccio, ed io mi ritrovai ad annaspare nel gelido mare come una gattina spaurita. Intravidi il capitano Arsella avvinghiato all’ultima botte di rum, e parte della ciurma che si dimenava nell’acqua cercando di raggiungerlo. Poi riuscii ad afferrare un pezzo dell’albero maestro e a tirarmi fuori dall’acqua.
Come sono strane le correnti… A volte sottostanno a strani disegni. Da una parte i marinai, issatisi su una scialuppa di salvataggio, vennero trasportati nella direzione dalla quale eravamo arrivati. Io invece venni trascinata dalla parte opposta.
Sarei sicuramente finita assiderata se non ci fosse stato quel piccolo isolotto. Già, perché circondati da quel buio pesto (mi ero dimenticata di dirvi che era notte!), nessuno si era accorto che lì vicino spuntava dal mare una piccola striscia di terra. Le onde mi trascinarono sulla sua riva ghiaiosa e, arrancando nell’oscurità, riuscii a trovare un riparo; una grotta. Trascorsi una notte umida e fredda, ma il mattino dopo il sole splendeva bello, e i miei vestiti si asciugarono subito.
Decisi di esplorare l’isola, ma non c’era molto da scoprire. Era poco più di uno scoglio in mezzo al mare, sul quale crescevano solo delle sterpaglie pungenti. Incominciai a disperare. Non avevo neanche la mia canna da pesca, quella che mi ero portata dietro per catturare qualche bel ricordo.
Ma all’improvviso vidi un gabbiano posarsi su uno scoglio vicino a me. Mi disse: «Che ci fai tu qui?»
Io lo guardai meravigliata. Toh, un gabbiano parlante!
«Ma tu parli?» gli dissi.
«Perché, non si può?» e mi venne da ridere…
«Da dove vieni?» mi domandò l’uccello.
«Sono una naufraga. Ero sul peschereccio di capitano Arsella. Lo conosci?»
«Certo! Un vecchio briccone, mi deve ancora sedici pezzo d’argento. Ma io so come fargli saldare il debito…»
«Come?»
«Quando i marinai sono sbronzi, atterro vicino alle reti e mi abbuffo di merluzzini.»
« E perché ti deve sedici pezzi d’argento?»
«Ah, è una lunga storia, e non ha molto a che fare con questa. Perciò pensiamo a non annoiare i lettori e andiamo avanti.»
«Giusto!»
«Vuoi sapere perché riesci a parlare con un gabbiano? Beh, o sei annegata insieme ai marinai di capitano Arsella (ma sono sicuro che lui è riuscito a salvarsi perché, come ti ho detto, è per davvero un vecchio briccone, e ne sa una più del diavolo!) e adesso appartieni a una storia in cui i gabbiani parlano, oppure sei arrivata sull’isola dei ricordi.»
«E tu cosa pensi?» domandai confusa.
«Beh, tutte e due le cose! Sei annegata e hai raggiunto l’isola dei ricordi.»
«No, non posso essere annegata, altrimenti non potrei scrivere la storia che sto scrivendo.»
A questo punto il gabbiano si fece perplesso. Guardò un attimo verso l’orizzonte, distratto da alcuni pescetti volanti.
«Mi spiace, ma è l’ora della colazione. Devo andare.»
«Ma non puoi lasciarmi così!» gli gridai, mentre dispiegava le ali e prendeva il volo.
Ero di nuovo sola e ancora più avvilita che mai. Non mi piaceva l’idea di essere annegata. No, non mi andava proprio per niente.
Tornai alla spiaggia di ghiaia, praticamente a qualche metro da dove il gabbiano aveva spiccato il volo. Tengo a precisare che l’isola non era più grande di un piazzetta di paese. A parte quei dieci metri di riva sulla quale ero naufragata, era circondata da scogli. La grotta dove avevo passato la notte non era altro che una rientranza di un scoglio più grande.
Mi sedetti su quel tappeto di sassolini ed incomincia a gettarli uno ad uno nel mare. Ploc, ploc, ploc…
Fu così che i ricordi cominciarono ad arrivare.
Trasportati dalle onde, vidi mia madre e mio fratello, nel giorno del suo quarto compleanno. La giostra con i cavalli bianchi e lo zucchero filato. Il gatto della vicina di casa che aveva fatto i cuccioli, undici piccini un po’ grigi, un po’ neri e uno rosso.
Venne un’altra onda. Era il ricordo di mio nonno, quando mi portava fuori in barca a pescare. Tornavamo al tramonto, e ci fermavamo ogni volta sugli scogli a guardare il sole fermo sopra l’orizzonte. Lui mi diceva: “Vedi tesoro, quello è l’occhio di dio!”
Poi ricordai mio padre, che mi abbracciava forte. Il treno fischiava, la mamma piangeva, e c’era un gran via vai di gente. Partiva per la guerra, ma era un viaggio di sola andata.
«Perché piangi?»
Era tornato il gabbiano e si era appollaiato accanto a me. Nel becco stringeva un pesciolino che si dimenava forsennatamente.
«Piango perché ricordo… Finalmente!» risposi.
Allora il gabbiano divenne mio padre. Era sempre stato mio padre.
«Si è davvero salvato capitano Arsella?» gli chiesi.
«Si tesoro. Sopra quella botte di rum…»
Ed insieme ridemmo fino a quando il sole si spense.

Aeribella Lastelle - 2008

giovedì 8 ottobre 2009

L'EVOLUZIONE DEL CIGNO

«Prima volta?»
«Si vede?»
«Beh, col passare dei secoli ho allenato l’occhio.»
«Secoli, dici? A quale cerchio appartieni?»
«Ventitreesimo, la quinta volta nella forma di cigno. Un bel vivere, dopotutto…»
«In effetti… Si ha tutto il tempo che si vuole per accordarsi con la Sinfonia.»
«Assolutamente! Vedrai, ne rimarrai sorpreso…»
«Quindi mi aspettano almeno altre quattro esistenze di questo tipo….»
«Dipende… Potresti accelerare i tempi, e diventare farfalla.»
«Parli del venticinquesimo cerchio, vero? Cosa c’è oltre?»
«Chi può dirlo… Le stelle, forse…»
Un uomo scattò una fotografia dal bordo della vasca.
«Ti ricordi quando eravamo uomini?»
«Quanto eravamo primitivi…»
«Eh già!»

domenica 4 ottobre 2009

CONDIVIDERE É REATO

Ci sono sogni che vanno raccontati, perché altrimenti poi ci si dimenticano ed è proprio un peccato, non so se mi spiego. Cioè, questa cosa me l’ha detta un mio amico, il Cantini, un soggetto che vi raccomando. Ma a parte questo, forse c’aveva proprio ragione. I sogni fanno in fretta a scomparire dalla capoccia. A volte manco mi ricordo quello che ho mangiato a colazione.
Invece questo m’è rimasto proprio impresso, tanto che gli dissi al Cantini che poteva andare tranquillo perché me ne sarei sicuramente ricordato. Ma lui mi guardò con quei suoi due occhi da merluzzo, e fiatandomi una boccata di Tavernello in faccia mi disse: «Non ti fidare… scrivili sempre i sogni importanti. Non lo sai che siamo tutti un po’ profeti?»
E allora eccomi qui davanti a questo dannato foglio. Era dai tempi del liceo che non mettevo dieci righe una sotto l’altra, cioè righe nel senso scritte… vabbè, non ci confondiamo adesso.
Insomma, inizia il sogno che sono dietro allo scooter del Testa, un vecchio amico. Testa perché ovviamente c’ha una testa che se te la ritrovi davanti al cinema fai prima a andare a casa vederti i pacchi.
«Oh Testa, vai piano!» gli urlo da dietro. Lui fa finta di nulla e sorpassa il quattordici, quello doppio, che passa proprio a pelo sulla corsia. Dalla parte opposta arriva un furgoncino bianco Iveco. BANG! Le luci si spengono.
Mi risveglio (ma sto sempre sognando) in un letto d’ospedale. Tubi, tubicini, macchine, flebo, un monte di stronzate, e accanto a me c’è il Testa, sempre lui. Eppure è diverso, me ne accorgo subito. Sembra più vecchio.
«Oh Testa! Che cavolo è successo!»
Lui si scuote perché non si era accorto che mi ero svegliato, poi mi guarda come se fossi un fantasma.
«Sei sveglio!» borbotta.
«Certo, e allora. Perché fai quella faccia?» domando io, e intanto mi accorgo che sembra davvero molto più vecchio.
«Perché sono vent’anni che dormi! Eri in coma. Ti ricordi l’incidente?»
Ecco spiegato tutto, mi dico. Insomma, mi ero giocato vent’anni di vita. Che sfiga, chissà quante scopate mi ero perso, per non parlare delle partite della Viola.
Comunque il sogno si velocizza. Dico al Testa di portarmi i vestiti che voglio fare un giro. Lui mi da una mano a prepararmi, e dieci minuti più tardi siamo già in strada.
«Dammi una sigaretta, vai!» gli chiedo.
«Non posso» risponde lui.
«Che hai smesso?»
«No, è che le cose sono un po’ cambiate… dopo ti spiego.»
Io rimango basito ma continuiamo a camminare. Arriviamo alla stazione dei taxi.
«Facciamo un salto da te?» gli chiedo.
«Va bene.» Poi mi apre lo sportello e paga la corsa al tassista.
«Io ti seguo col motorino» mi dice.
«Allora non c’è bisogno del taxi, ti salto dietro.»
«No, non si può.»
«Certo che non si può, ma lo fanno tutti.»
«Ma no, è che le cose sono un po’ cambiate nel frattempo… dopo ti spiego.»
Così il taxi mi trascina nell’ingorgo della città. Quello non è cambiato, o forse si. È diventato ancora peggio.
Arrivo a casa del Testa e lui è già lì con un sacchettino della Coop. Tira fuori un pacchetto intero di sigarette e me lo passa.
«Oh grazie, me ne bastava una.»
Poi saliamo su.
L’appartamento è sempre il solito, arredato alla stessa maniera, insomma sembra non sia passato neanche un giorno e invece sono venti anni che non ci metto piede. I sogni son roba strana!
Dalla busta della spesa il Testa tira fuori una Moretti da 66, un panino con la mortadella e una barretta di cioccolato bianco, di quello che piace a me. Il Testa m’ha sempre voluto bene…
«Ma che fai, dai! Non importava… Cos’eri senza scorte?» nel dir questo gli apro il frigo e ci trovo ogni ben di dio. Salame, acciughe, vinello, un barattolo d’olive verdi piccanti che ci vado matto.
«Ma che mi prendi per il culo» lo infamo. «Guarda quanta roba che c’hai, e mi sei andato a prendere la moretti e il panino alla coop…»
«Ma non ti offendere, scusa…» balbetta lui. «È che, come ti ho già detto, le cose sono un po’ cambiate in questi anni.»
«Vabbé, ora mi vado a rinfrescare un po’ in bagno e poi torno di qua e mi spieghi tutto.»
«Ma no guarda, non è proprio possibile. Non posso neanche farti usare il bagno.»
«Che cazzo dici?»
Così il Testa si mette a sedere e incomincia a raccontarmi tutto.
«Ti ricordi ai vecchi tempi che ci si scambiava la roba col computer, si scaricava la musica, i film, i libri, ma c’era anche un monte di gente che non gli andava per nulla bene tutta questa festa. Insomma, col passare del tempo questa storia dello scambio è diventata qualcosa di veramente brutto. Non solo t’arrestavano se si beccavano a scambiarti la roba col computer, ma incominciarono anche a proibire gli scambi degli oggetti, insomma delle cose che si usa tutti i giorni. Per questo motivo non ti posso offrire una delle mie sigarette, non posso darti un passaggio sul mio motorino, non posso offrirti qualcosa da mangiare e neanche farti usare l’acqua e la saponetta del bagno. Oggi c’hanno questi satelliti che ti controllano anche in casa, 24 ore su 24. Insomma, se vuoi qualcosa, devi comprartela!»
Io rimango a bocca aperta. Meglio il coma, penso.
«Vuoi dire che non si può più condividere nulla?»
«Proprio così. A proposito, questi sono gli scontrini della spesa e del taxi. Non che rivoglia i soldi, ci mancherebbe, ma potrebbero controllarti…»
«Ma non ci credo!»
E mentre urlo questa frase mi sveglio.
Boia che sogno, mi dissi. Nella stanza sentivo frinire la ventola del PC. Mi avvicinai allo schermo e vidi la finestrella rassicurante degli ultimi download. Anche per quella sera lo spettacolo era assicurato. Presi la cornetta e feci il numero.
«Pronto Testa? Vieni da me a vedere un film?»

GM Willo 2008