Nel mare si perdono i ricordi. Quelli più belli vengono subito trascinati al largo dalle correnti. Poi si depositano sui fondali, a fare compagnia alle razze e ai cavallucci marini.
Un dio mi disse che se avessi saputo trovare il posto giusto, avrei potuto ripescarli. Tutto quello di cui avevo bisogno era una canna da pesca ed una buona esca.
Così m’imbarcai sul peschereccio di capitano Arsella, un tipo davvero strano. La sua ciurma era la più ubriaca del porto. Prima di prendere il mare i marinai facevano un triplo giro di Grog, e alla fine di ogni turno spettava a tutti una razione extra. Per questo motivo il peschereccio di capitano Arsella era quello che si spingeva più a largo, ed io volevo proprio andare il più lontano possibile, laggiù dove dimorano i ricordi più belli.
Ma a quel vecchio burlone che siede sul bagnasciuga dell’universo, non manca certo il senso del buonumore. Gli venne in mente di mandarci addosso una tempesta coi controfiocchi.
L’equilibrio precario della ciurma, dovuto allo smodato uso di alcolici, compensava il movimento delle onde. Perciò procedevamo dritti come fusi, mentre le alte onde ci sovrastavano.
Nonostante il nostro bell’andare, il timoniere non poté evitare l’iceberg. Non riuscì neanche a capire se fosse solamente uno. Infatti in principio urlò che erano due, e poi ne vide addirittura tre. Ma vi posso assicurare che fu solo uno l’iceberg che ci colpì.
L’impatto distrusse completamente il peschereccio, ed io mi ritrovai ad annaspare nel gelido mare come una gattina spaurita. Intravidi il capitano Arsella avvinghiato all’ultima botte di rum, e parte della ciurma che si dimenava nell’acqua cercando di raggiungerlo. Poi riuscii ad afferrare un pezzo dell’albero maestro e a tirarmi fuori dall’acqua.
Come sono strane le correnti… A volte sottostanno a strani disegni. Da una parte i marinai, issatisi su una scialuppa di salvataggio, vennero trasportati nella direzione dalla quale eravamo arrivati. Io invece venni trascinata dalla parte opposta.
Sarei sicuramente finita assiderata se non ci fosse stato quel piccolo isolotto. Già, perché circondati da quel buio pesto (mi ero dimenticata di dirvi che era notte!), nessuno si era accorto che lì vicino spuntava dal mare una piccola striscia di terra. Le onde mi trascinarono sulla sua riva ghiaiosa e, arrancando nell’oscurità, riuscii a trovare un riparo; una grotta. Trascorsi una notte umida e fredda, ma il mattino dopo il sole splendeva bello, e i miei vestiti si asciugarono subito.
Decisi di esplorare l’isola, ma non c’era molto da scoprire. Era poco più di uno scoglio in mezzo al mare, sul quale crescevano solo delle sterpaglie pungenti. Incominciai a disperare. Non avevo neanche la mia canna da pesca, quella che mi ero portata dietro per catturare qualche bel ricordo.
Ma all’improvviso vidi un gabbiano posarsi su uno scoglio vicino a me. Mi disse: «Che ci fai tu qui?»
Io lo guardai meravigliata. Toh, un gabbiano parlante!
«Ma tu parli?» gli dissi.
«Perché, non si può?» e mi venne da ridere…
«Da dove vieni?» mi domandò l’uccello.
«Sono una naufraga. Ero sul peschereccio di capitano Arsella. Lo conosci?»
«Certo! Un vecchio briccone, mi deve ancora sedici pezzo d’argento. Ma io so come fargli saldare il debito…»
«Come?»
«Quando i marinai sono sbronzi, atterro vicino alle reti e mi abbuffo di merluzzini.»
« E perché ti deve sedici pezzi d’argento?»
«Ah, è una lunga storia, e non ha molto a che fare con questa. Perciò pensiamo a non annoiare i lettori e andiamo avanti.»
«Giusto!»
«Vuoi sapere perché riesci a parlare con un gabbiano? Beh, o sei annegata insieme ai marinai di capitano Arsella (ma sono sicuro che lui è riuscito a salvarsi perché, come ti ho detto, è per davvero un vecchio briccone, e ne sa una più del diavolo!) e adesso appartieni a una storia in cui i gabbiani parlano, oppure sei arrivata sull’isola dei ricordi.»
«E tu cosa pensi?» domandai confusa.
«Beh, tutte e due le cose! Sei annegata e hai raggiunto l’isola dei ricordi.»
«No, non posso essere annegata, altrimenti non potrei scrivere la storia che sto scrivendo.»
A questo punto il gabbiano si fece perplesso. Guardò un attimo verso l’orizzonte, distratto da alcuni pescetti volanti.
«Mi spiace, ma è l’ora della colazione. Devo andare.»
«Ma non puoi lasciarmi così!» gli gridai, mentre dispiegava le ali e prendeva il volo.
Ero di nuovo sola e ancora più avvilita che mai. Non mi piaceva l’idea di essere annegata. No, non mi andava proprio per niente.
Tornai alla spiaggia di ghiaia, praticamente a qualche metro da dove il gabbiano aveva spiccato il volo. Tengo a precisare che l’isola non era più grande di un piazzetta di paese. A parte quei dieci metri di riva sulla quale ero naufragata, era circondata da scogli. La grotta dove avevo passato la notte non era altro che una rientranza di un scoglio più grande.
Mi sedetti su quel tappeto di sassolini ed incomincia a gettarli uno ad uno nel mare. Ploc, ploc, ploc…
Fu così che i ricordi cominciarono ad arrivare.
Trasportati dalle onde, vidi mia madre e mio fratello, nel giorno del suo quarto compleanno. La giostra con i cavalli bianchi e lo zucchero filato. Il gatto della vicina di casa che aveva fatto i cuccioli, undici piccini un po’ grigi, un po’ neri e uno rosso.
Venne un’altra onda. Era il ricordo di mio nonno, quando mi portava fuori in barca a pescare. Tornavamo al tramonto, e ci fermavamo ogni volta sugli scogli a guardare il sole fermo sopra l’orizzonte. Lui mi diceva: “Vedi tesoro, quello è l’occhio di dio!”
Poi ricordai mio padre, che mi abbracciava forte. Il treno fischiava, la mamma piangeva, e c’era un gran via vai di gente. Partiva per la guerra, ma era un viaggio di sola andata.
«Perché piangi?»
Era tornato il gabbiano e si era appollaiato accanto a me. Nel becco stringeva un pesciolino che si dimenava forsennatamente.
«Piango perché ricordo… Finalmente!» risposi.
Allora il gabbiano divenne mio padre. Era sempre stato mio padre.
«Si è davvero salvato capitano Arsella?» gli chiesi.
«Si tesoro. Sopra quella botte di rum…»
Ed insieme ridemmo fino a quando il sole si spense.
Aeribella Lastelle - 2008
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